Parla in prima persona l’Artemisia di Angèle Paoli per raccontare la propria storia di bambina di sei anni e di orfana dodicenne, apprendista pittrice. I primi due capitoli del romanzo ci immergono nella luce corrusca della Roma dell’esecuzione della famiglia Cenci (1599), cui Artemisia assiste, e della morte per parto di sua madre. Di violenza e morte fa esperienza in tenera età Artemisia. La violenza di un’esecuzione per parricidio (maBeatrice Cenci era stata stuprata dal padre che poi uccise) e la violenza della vita matrimoniale, fatta di gravidanze plurime, sul corpo della propria madre, Prudenzia Montoni Gentileschi, morta di parto a trent’anni alla settima gravidanza. Difficile destino per una fanciulla che, maggiore dei tre fratelli sopravvissuti, si trova in giovane età a dirigere una casa.
Artemisia già frequenta però la bottega del padre Orazio, che alcuni anni dopo, desiderando far conoscere sua figlia e trovare un mercante per le sue opere, scrive una lettera a Cristina di Lorena, a Firenze, in cui afferma di lei con orgoglio: ”… forse i principali maestri di questa professione non arrivano al suo sapere” (lettera del 3 luglio 1612). La Gentileschi è già nel 1609 una pittrice compiuta, al di là della valutazione del padre. La sua opera Susanna e i Vecchioni, mostra una grande maturità artistica per i suoi diciassette anni.Rivelatrice è anche la testimonianza di Nicolò Bandini, apprendista di Orazio, che dice che dal 1611 già preparava i colori e li mescolava solo per lei… continua QUI
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